«Finché il mondo è mondo, diceva, state pur certi che ci saranno sempre padroni per farci trottare e domestici per cavargli i capricci». A dispetto di questa teoria del trotto perpetuo, era già un quarto d’ora che mia madre – la quale, probabilmente, non applicava lo stesso metro dell’interessata nel valutare la durata delle colazioni di Françoise – si interrogava: «Ma che diamine staranno facendo, sono a tavola da più di due ore». E suonava tre o quattro volte, timidamente. Françoise, il lacchè e il maggiordomo maggiordomo non sentivano quelle scampanellate come un richiamo – né, di fatto, gli veniva in mente di muoversi – ma come, piuttosto, i primi, sparsi accordi degli strumenti quando un concerto sta per riprendere e si capisce che l’intervallo non durerà più che pochi minuti. Così, solo quando le scampanellate si infittivano e si facevano più insistenti, i nostri domestici cominciavano a prenderne coscienza e, stimando di non avere più molto tempo davanti e che la ripresa del lavoro fosse imminente, a un rintocco un po’ più sonoro degli altri emettevano un sospiro e, decidendosi, il lacchè scendeva a fumare una sigaretta davanti alla porta, Françoise –
dopo qualche riflessione su di noi del tipo «è chiaro, oggi hanno il nervoso» – saliva a mettere in ordine la sua stanzetta al sesto piano, e il maggiordomo, procuratasi della carta da lettere in camera mia, sbrigava rapidamente la sua corrispondenza privata.
domenica 1 settembre 2019
Scampanellate
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