sabato 24 giugno 2017

Succulente

Per tutta una serie di motivi complessi questa sarà un'estate milanese.
Ma sarà bella lo stesso perché a me basta poco per stare bene.
Sono come le piante grasse.
Chiamate così impropriamente,  il nome corretto è succulente.
Allora dato che sono sempre alla ricerca di libri da leggere, ma mi annoio a leggere le recensioni, sarebbe interessante leggere tutti i libri del Premio Strega.
Sono 70.
Ne ho letti solo 12.
Ma magari non quello che ha vinto, ma gli scartati.
I quattro fatti fuori.
Per un pelo.
Per un voto in meno.
Per un caso.
Come nella vita a volte.

Scribacchio

Scribacchio, vomito poesie, per avere un terreno, un punto su cui fermarmi e dire: "Sono io".
Cesare Pavese, Lettera a Augusto Monti

sabato 10 giugno 2017

Guardati dalla mia fame

Chissà che mondo si vede da certi palazzi.
Come questo di via San Marco a Milano.
Dove passavo oggi. E mi sono fermata 5 minuti a guardare le piante.
Dipende da quando mondo si fa entrare nelle proprie case. 

1946 Andria, Puglia. 7 marzo.
Una folla di poveracci riuniti per un comizio di Di Vittorio sente un colpo di sparo proveniente, sembra,  dal Palazzo Porro.
Il Palazzo della famiglia più ricca di Andria.
Ci abitano le quattro sorelle Porro.
Niente entra del mondo nel loro Palazzo. Sono ricche ma non sanno di esserlo.
Pie, sobrie. Vivono ad occhi chiusi. 
La folla inferocita, decide che sono loro a sparare (rido) allora assalta il Palazzo,  le fa uscire e le ammazza.
È una storia atroce.
Sull'innocenza e sulla ferocia.
Sulla ferocia di chi ha fame. 

È scritto a due mani da Milena Agus che è una scrittrice sarda meravigliosa e Luciana Castellina, che è Luciana Castellina.
Anche la copertina è bellissima e il titolo che mi ripeto ogni volta che vedo un telegiornale.
Secondo me è una storia da conoscere.
E dato che tra poco inizierà lo scassamemto di maroni se è meglio la Sardegna o la Puglia e la Sicilia e lu mare e lu ventu sapere che cos'era la Puglia nel 1946 mi è piaciuto assai.
Guardati dalla mia fame
Luciana Castellina Milena Agus
Nottetempo.

sabato 3 giugno 2017

Zio Svaldo


Questa mattina riconsegno in biblioteca Il Calzolaio di Vigevano di Lucio Mastronardi.
E lo comprerò. Subito.
Archiviato nella mente nella mia categoria mentale capolavori/il lavoro dell'uomo a far compagnia a Nesi,  le stoffe; Roth i guanti e ora Mastronardi le scarpe.

Il calzolaio di Vigevano per i non pavesi è, credo, incomprensibile.
Io, pavese, cresciuta con una nonna che parlava solo il dialetto ho apprezzato.
Potrei tradurvelo volentieri.
Ma le parole sono mondi soprattutto quelle in dialetto e non sarebbe semplice. Tipo tradurre "scarus" ci vorrebbero 5 minuti. Però si può fare, nel weekend ho tempo.

In un tema alle elementari avevo scritto mio zio Svaldo invece di Osvaldo e sfalto invece di asfalto. 18 segni rossi!
Giusto.
Solo molti anni dopo studiando Gadda, Meneghello con Cesare Segre che ci prendeva a bastonate senza simpatia, ho capito che dovevo conservare quella lingua.

Ancora oggi dico "andare sul mercato" e "ti faccio un bacio" dal pavese ta fo un bas.

Grazie a Mastronardi che mi ha fatto fare un tuffo nel passato.
Zio Svaldo comunque era bellissimo, cara maestra.
Per capire cos'era Vigevano in quegli anni uno dei dossier più belli di Giorgio Bocca http://www.ascuoladigiornalismo.loescher.it/Assets/Pages/Materiali/CartaStampata/GiorgioBocca.html
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