mercoledì 16 ottobre 2019

Primavera

Ma, come raggiunsi la strada, rimasi abbagliato. Là dove d’agosto, con la nonna, non avevo visto che le foglie e, per così dire, la positura dei meli, essi si stendevano ora a perdita d’occhio in piena fioritura, incredibilmente sfarzosi, con piedi nel fango e l’abito da ballo, senza prendere la minima precauzione per non sciupare il più splendido raso che mai si fosse visto, e che scintillava roseo ai raggi del sole; il lontano orizzonte marino forniva ai meli uno sfondo da stampa giapponese; se alzavo la testa a guardare il cielo tra i fiori, che conferivano al suo azzurro rasserenato una tonalità quasi violenta, sembrava che si scostassero per mostrare la profondità di quel paradiso. Al di sotto dell’azzurro, una brezza leggera ma fredda faceva fremere appena i mazzolini rosseggianti. Celesti cinciarelle venivano a posarsi sui rami e saltellavano tra i fiori, indulgenti, come se tutta quella vivente bellezza fosse stata la creazione artificiale di un appassionato d’esotismo e di colori. E invece, se commuoveva fino alle lacrime, era perché, sebbene si fosse spinta tanto oltre nei suoi effetti d’arte raffinata, si sentiva che era naturale, che quei meli erano lì, in aperta campagna, come contadini su una strada maestra di Francia. Poi, i raggi del sole si trasformarono all’improvviso in fili di pioggia che striarono tutto l’orizzonte, imprigionando l’esercito dei meli nella loro rete grigia. Ma i meli continuavano ad ergersi – nel vento che s’era fatto gelido, sotto l’acqua che cadeva a scroscio – con la loro rosea, fiorita bellezza: era una giornata di primavera.

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