Studiare tantissimo "perché l’operaio conosce 100 parole, il padrone 1000 e per questo è il padrone". Religiosi sì ma con tutte le battaglie della Sinistra, quelle importanti. E poi correre, nuotare, giocare a tennis ma soprattutto sciare.
Insomma Sparta.
Mio papà era felice solo a 2000 metri e lui che aveva imparato a sciare da solo e con rabbia, pensava che anche io fossi felice in alta quota.
Ricordo come un incubo il freddo delle 5 di mattina in attesa del torpedone dello sci club Maggiolino di Opera destinazione: Cervinia. Tutte le domeniche da sant’Ambrogio a metà marzo. Ripeto: tutte le domeniche.
Sulla spalla sinistra gli sci Rossignol, nella mano destra la borsa con gli scarponi e sulle spalle lo zaino con la cioccolata, il Tea caldo e i panini. Odore del gas di scarico dei pullman. E via a cantare: Autista dal cuore gentil l’autogrill, l’autogrill!
A fine degli anni ’70 si sciava in jeans e galosce della invicta a righe blu e occhiali a specchio della Salice. Non esistevano i tessuti tecnici quindi se cadevi spesso, e io cadevo spesso, voleva dire morire.
Mio padre e mio zio Elvio, sciatori bravissimi e instancabili, avevano una fiaschetta d’argento con dentro dell’alcool, normalmente proibitissimo a noi bambini, ma che serviva lì per darci coraggio. Ce ne voleva a buttarsi giù dal Plateau Rosà a 2000 metri il 7 dicembre a – 15. C’era pure la nebbia. E via e su e giù e su e giù. Con una specie di pasta bianca sulle labbra come la biacca del teatro kabuki, rossetto Piz Buin.
Appena ho avuto l’età della ragione ho avuto il coraggio di dire a mio padre che sciare mi faceva schifo, che faceva freddo, che cadevo, che bisognava litigare con chi non rispettava la fila. E io volevo solo leggere.
Qualche settimana fa alcuni amici torinesi ci hanno invitato a cena e ci hanno offerto il caffè e delle zollette di zucchero dentro un vasetto di vetro in un liquido verdastro. E ignorando le regole principali della chimica guardavo le zollette e non mi capacitavo del fatto che lo zucchero non si sciogliesse e poi che strana quella pinzetta d’argento con piccole zampe di gallina che servivano per prendere le zollette.
Chiacchierando e un po’ sovrapensiero ho messo sopra la lingua una zolletta di zucchero imbevuta di liquore e in un attimo ho rivisto tutto: l’operaio che conosce 100 parole, i Rossignol, le galosce, gli occhiali a specchio, i -15 e la giacca da sci blu di mio papà a cui aveva attaccato una specie di stella di metallo della Nordica per chiudere bene i ganci degli scarponi.
Ecco la mia educazione ha il sapore di un liquore alle erbe di montagna.
È stata un’educazione siberiana che ha il sapore di Genepy.
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