sabato 20 aprile 2024

Biot

Nella guerra dei bottoni le bande rivali (di bambini) si prendono a sassate e i vincitori come simbolo, le guerre sono fatte anche di simboli, rubano i bottoni ai "vinti".
Al grande capo allora viene l'idea geniale: combattere senza vestiti! Il traduttore dice biotti. Me lo diceva sempre mia nonna: biot. Che colpo al cuore ❤️ e via a un'ondata di ricordi, bagni, borotalco, maglie di lane nelle mutande a fare una specie di ventaglietti sui fianchi.
Ma si accorgono che così non hanno tasche! Dove mettiamo i sassi? 
Inoltre nel bosco senza vestiti hanno freddo "barbellano dal freddo" e sono tutti graffiati dagli spini, dai rami degli alberi. 
Barbellare dal freddo significa tremare è una espressione lombarda dovrebbe derivare da barbel che è il mento. La usava sempre Dario Fo.

Forse ho realizzato solo adesso, scrivendo questo post, che un altro elemento di fascino di questo libro è la traduzione che usa spesso delle parole lombarde che mi tira fuori dalla memoria una sorgente di ricordi. Una sorgente di gioia. 
Il traduttore è Gianni Pilone Colombo.

Mani paonazze, pastelli a cera.

domenica 7 aprile 2024

Dolores Prato a Milano

Due amici e colleghi di San Ginesio avevano favorito nel 1925 l’incontro di Dolores con l’avvocato milanese Domenico Capocaccia, che si stava avvicinando al comunismo dopo aver avuto in precedenza qualche contatto con Piero Gobetti. Iscrittosi al Partito comunista italiano (PCI) nel 1943, dopo la guerra Capocaccia fu commissario al Corriere della sera nella fase di ricostruzione coincidente con la direzione di Mario Borsa. Respinse l’ipotesi di dolo nel comportamento dei Crespi al momento della cacciata di Luigi Albertini, di fatto confermandoli nei loro diritti di proprietà (la vicenda è raccontata da Prato in una lettera a Lina Brusa Arese del 2 gennaio 1978: Archivio Ferri-Ferrari). Fu poi vicepresidente nazionale dell’Ansa e vicedirettore della sede milanese. La relazione con Capocaccia, da lei chiamato Doni, fu determinante nella decisione di Dolores Prato di trasferirsi a Milano tra il 1927 e il 1928, per insegnare nell’Accademia libera di cultura e arte diretta dal pedagogista Vincenzo Cento e dalla moglie Anita. L’esperienza fu negativa per divergenze didattiche: finirono addirittura per licenziarla. All’insegnamento tornò poi brevemente dopo la guerra, quando Capocaccia si adoperò per il reintegro e la pensione.

Fonte Treccani

Dolores Prato

Dal 1927 al 1928 vive a Milano frequentando un avvocato iscritto al Partito Comunista, Domenico Capocaccia.
Fonte Wikipedia

sabato 6 aprile 2024

Scottature



RECENSIONE DI SIMONETTA SCIANDIVASCI

Dolores Prato: la romanziera dell’abbandono
Ripudiata dai genitori, accolta da uno zio prete e allevata dalle suore. Esordì novantenne con “Giù la piazza non c’è nessuno” Scriveva agli editori: guardate che sono 
Le cose di cui Dolores Prato è sempre stata certa erano poche, forti e molto complicate. Era certa di saper scrivere, di essere una scrittrice, di quanta fatica e grazia servissero per far coincidere le due cose. Più di tutto, però, era certa, avendone avuto le prove per tutta la vita, di essere destinata all’abbandono. Sta in questa consapevolezza la ragione profonda per la quale mandava lettere tanto accorate e buffe, vispe, tragicomiche, a editori, giornalisti, direttori, scrittori, organizzatori di premi, e chiunque potesse darle una mano a pubblicare, scrivere, essere vista e letta, che per lei significava essere accettata. La prego, mi veda. La prego, mi legga. La prego, si ricordi di me. «Sono quell’essere ridicolo che vinse l’ultimo premio Stradanova. Ridicoli, chi più chi meno, agli occhi degli altri lo siamo tutti, ma in quell’epoca, sconvolta da un dolore pazzesco, io lo ero in maniera totale», scrive ad Aldo Palazzeschi nel 1972, quando gli manda Scottature, il suo secondo libro, il più breve (meno di 100 pagine), l’unico non incompiuto, in cui racconta l’inizio dell’età adulta, il momento in cui, dal convento in cui è stata allevata, comincia ad affacciarsi fuori: scopre il mare e l’amicizia, riceve una proposta di matrimonio (per interposta persona) e la rifiuta (sebbene le consentirebbe di andare a vivere in America), scopre che sua madre è morta, scopre di avere una sorella, la cerca, la trova e poco dopo averla conosciuta, smette di chiamarla sorella: per lei diventa “la figlia di mia madre”. Le scottature sono i segni che lascia l’incontro con il mondo fuori dal convento: è un nome deciso dalle suore per incentivare le ragazze a restare dentro, dove non ci si brucia, e la vita non è pericolo ma mistero. Prato pubblica questo libro a 75 anni. E, incontinente com’è, fluviale nel manifestarsi e proporsi, lo manda a Palazzeschi insieme a una rosa di peltro e a quella lettera. Quodlibet, che da anni ripubblica i libri di Prato, e anche i suoi frammenti (un’infinità: lei scriveva ovunque, sempre), ha inserito quella lettera, insieme a diverse altre, nell’ultima edizione di Scottature, in libreria dal 7 febbraio. E in quelle lettere c’è, di Prato, il dramma centrale della sua vita: proporsi, presentarsi, spiegare quello che sapeva fare, dirlo con allerta affinché non venisse sottovalutato (e non verrà mai sottovalutato, ma accadrà qualcosa di peggiore: la letteratura di Prato verrà riconosciuta e, però, sempre tralasciata), affinché venisse visto. «Io sento i luoghi più della persona umana», scrive in una lettera di presentazione per un annuario, nel 1960. Ed è vero: Dolores Prato ha scritto tutta la vita di strade, città, scale, borghi, case, arredi, perché delle persone le importavano le impronte, i solchi, l’esterno e non l’interno, quello che si vede e non si guarda, quello che s’avverte e non s’indaga. Perché le persone la abbandonavano. 

venerdì 29 marzo 2024

Cani selvaggi

L’amore è come quei cani selvaggi. Se ti salta addosso, non molla la presa. E quello che non puoi mai sapere all’inizio è con quale intensità e quanto a lungo amerai; in quali modi un amore finito ti darà la caccia, un salto dopo l’altro come fuoco misterioso che ti scorre nelle vene.
Helen Humphreys, Cani selvaggi

lunedì 22 gennaio 2024

scialbo o trascurato

Per tutta la vita Capote non sarà mai scialbo o trascurato nello scrivere agli amici, né lo diverrà quando si rivolgerà molto più privatamente al padre, alla madre o ai parenti, dimostrazione certa di una fede nel testo scritto che non concede deroghe ad atteggiamenti che non siano come di sacralità verso di esso. 
Gianni Bonina, Doppiozero

mercoledì 13 dicembre 2023

orologio

È l’unico scrittore che io conosca il cui orologio è sincronizzato sugli innumerevoli orologi dei suoi lettori.
Nabokov Lezioni di letteratura russa

Biot

Nella guerra dei bottoni le bande rivali (di bambini) si prendono a sassate e i vincitori come simbolo, le guerre sono fatte anc...